Negli anni drammatici della seconda guerra mondiale fu un rigido codice d’onore a decretare la salvezza degli ebrei di Albania. Mentre nel resto d’Europa la persecuzione mieteva le sue vittime lì gli ebrei vennero infatti considerati ospiti e in quanto tali da proteggere e preservare. Fino al punto di donare loro abiti e nomi musulmani.
A raccontare questa vicenda, ancora poco nota all’opinione pubblica occidentale, è la mostra “Besa: un codice d’onore. Albanesi musulmani che salvarono gli ebrei durante la Shoah” in esposizione al Museo ebraico dal 17 giugno.
La rassegna, realizzata da Yad Vashem, propone le suggestive immagini del fotografo americano Norman Gershman che per cinque anni ha percorso l’Albania recuperando le testimonianze di questo straordinario salvataggio che riguardò quasi 2 mila ebrei e documentandolo attraverso i ritratti dei salvatori e dei loro discendenti.
La storia appare ancora più sorprendente se si considera che nei primi decenni del Novecento in Albania, paese a maggioranza musulmana, vivevano 200 ebrei appena che aumentarono però in maniera vistosa con le fughe legate all’aggravarsi delle persecuzioni nazifasciste. A proteggere i profughi fu l’antico codice d’onore del popolo albanese, profondamente radicato nella cultura e nelle usanze.
“Besa – spiega Gershman – è molto più della semplice ospitalità. E’ un sentimento che ti lega a chi entra nella tua sfera contro ogni avversità”. Grazie a Besa, che alla lettera significa “mantenere una promessa”, gli albanesi non solo protessero i loro cittadini ebrei ma diedero rifugio anche anche agli ebrei che cercando scampo nel loro paese quando era ancora sotto il dominio italiano rischiavano la deportazione. Quasi tutti gli ebrei che si trovavano entro i confini dell’Albania durante l’occupazione tedesca furono salvati, fatta eccezione per poche famiglie. L’Albania, unico paese europeo a maggioranza musulmana riuscì così dove le altre nazioni europee fallirono.
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