Tra uccisione e protezione. I rifugiati ebrei in Kosovo nel marzo 1942 e le autorità tedesche, italiane e albanesi

Di Michele Sarfatti

Il 6 aprile 19411 gli eserciti dell’Asse attaccarono la Jugoslavia, annientandola in pochi giorni e spartendosene i territori. Per quanto concerne il Kosovo, l’Italia ottenne la gran parte di esso, con le città di Prizren, Priština, Pec/Peja e Djakovica/Gjakova, e la Germania una porzione settentrionale, con la città di Kosovska Mitrovica. Per qualche settimana anche Priština era rimasta sotto controllo tedesco, poiché la linea provvisoria di demarcazione era stata tracciata lungo la ferrovia Mitrovica-Uroševac; a seguito dei colloqui di Vienna di fine aprile e dell’accordo del 25 maggio, la città fu definitivamente assegnata all’Italia, che ne assunse il controllo il 6 giugno.2

Mussolini destinò il Kosovo al Regno di Albania, che a seguito dell’attacco italiano del 7 aprile 1939 era stato posto sotto lo scettro del re d’Italia Vittorio Emanuele III; l’annessione (comprendente anche una fascia di territorio orientale sino a Struga) fu sancita dal decreto reale albanese n. 264 del 12 agosto 1941. Mitrovica fu aggregata alla Serbia, rimasta sotto occupazione militare del Terzo Reich. La vicina Macedonia, con la città di Skopje, fu annessa alla Bulgaria.

In Serbia prima della guerra vi erano circa 13.000 ebrei, quasi tutti a Belgrado,3 cui si erano aggiunti numerosi profughi dal centro Europa. A Mitrovica vi era una comunità ebraica con circa cento persone.4 Nella poco distante Kursumljiska Banja vi erano varie decine di profughi, internati dalle autorità jugoslave.5 L’occupante tedesco avviò subito una dura persecuzione antiebraica. Dopo alcuni singoli provvedimenti, il 30 maggio una ordinanza di carattere generale dispose tra l’altro un censimento accurato, l’obbligo di portare una fascia gialla al braccio sinistro, il licenziamento dagli impieghi pubblici e dalle professioni, il lavoro obbligatorio, il censimento e il blocco delle proprietà, il divieto di mutare residenza e quello di rientro nel Paese, se già espatriati.6 Le varie norme furono applicate anche a Priština, seppure per un periodo limitato e quindi in modo non completo.7

Nei territori annessi all’Albania, stando a una statistica albanese del 1941 che suddivideva la popolazione in musulmani, ortodossi, cattolici e «altri», questi ultimi erano quantificati in 395 a Priština (corrispondenti al 2,46% della popolazione) e 72 in altre località (17 a Tetovo, 16 a Priznen, 15 a Pec/Peja, 12 a Decani, ecc.).8 Poiché il censimento jugoslavo del 1931 aveva rilevato 373 ebrei a Priština,9 sembra legittimo presumere che nel 1941 la categoria «altri» indicasse appunto gli ebrei e che i dati concernessero solo gli ebrei kosovari da generazioni o provenienti dalle regioni jugoslave limitrofe. Non è noto se negli anni Trenta si fossero aggiunte persone immigrate da altre regioni europee, ma l’eventualità sembra poco probabile. È invece certo che tra aprile e maggio 1941 gli occupanti tedeschi trasferirono da Kursumljiska Banja a Priština 45 profughi polacchi e austriaci, obbligando gli ebrei locali a farsi carico del loro alloggio e mantenimento.10

A Priština si rifugiarono anche 25 ebrei di Mitrovica.11 La fuga presumibilmente avvenne dopo l’arrivo degli italiani in giugno e la conseguente revoca di almeno una parte delle norme persecutorie naziste. Il cambiamento intervenuto trova un’indiretta attestazione in una lettera inviata in luglio dal presidente e dal segretario della Comunità ebraica di Priština, Hajim Aruesti e Josef Levi, alla consorella di Spalato, anch’essa divenuta parte dell’impero mediterraneo italiano: «noi godiamo di una piena equiparazione agli abitanti di altre confessioni».12 In effetti il fascismo, per motivi di carattere interno, non introdusse in Albania la legislazione antiebraica vigente in Italia, preferendo per il momento disporre specifici provvedimenti di esclusione, come quelli dal Partito fascista albanese, dall’esercito, dalle cariche pubbliche e da alcuni impieghi e incarichi.13 Tale azione era affiancata da una rigida politica di blocco alle frontiere e di internamento degli ebrei stranieri; questi peraltro non potevano essere espulsi, visto – scriveva il 29 luglio 1941 il consigliere permanente italiano presso la direzione generale della polizia albanese – «il diniego di entrata nelle frontiere balcaniche».14

La condizione degli ebrei a Priština nell’estate 1941 era inoltre meno grave di quella dei confratelli delle vicine città macedoni di Skopje e Bitola/Monastir, cui il governo di Sofia aveva applicato subito la propria legislazione antisemita – sin dall’inizio molto rigida, ma non ancora sterminatrice – e rifiutato la concessione della cittadinanza bulgara.15 Gli ebrei del Kosovo ricevettero la cittadinanza del Regno d’Albania.16 La loro annessione determinò il raddoppio numerico della popolazione ebraica dello Stato; inoltre ora per la prima volta questo ospitava una vera «comunità» ebraica, organizzata e riconosciuta.17


Nel luglio 1941 l’occupante tedesco della Serbia avviò l’internamento di tutti gli ebrei e parallelamente l’uccisione dei maschi adulti. Quest’azione venne pressoché completata in dicembre; subentrò l’internamento (nel campo belgradese di Sajmiste) e poi l’uccisione sistematica di donne, anziani e bambini. Lo sterminio fu completato in maggio 1942; dal mese di marzo fu attuato con un camion appositamente attrezzato per asfissiare le vittime.18La Serbia fu la prima regione europea in cui la Shoà fu attuata in modo radicale, sistematico, completo.

Già in aprile-maggio 1941 alcuni ebrei belgradesi si erano spostati in altre località o avevano raggiunto la costa adriatica meridionale, l’Albania interna o la Macedonia, fuggendo dapprima il durissimo bombardamento di Belgrado e il caos conseguente e poi le prime misure antiebraiche naziste. In autunno, mentre era in corso lo sterminio, si verificarono contemporaneamente una ripresa o comunque l’intensificazione delle fughe (data la situazione complessiva, si trattava presumibilmente di persone e famiglie già in clandestinità) e un cambiamento del comportamento dell’occupante tedesco. Ne è testimonianza quanto accadde in novembre in Macedonia: la polizia bulgara rastrellò (autonomamente? su richiesta tedesca?) 47 ebrei rifugiati dalla Serbia e – nonostante l’ordinanza di Belgrado del 30 maggio precludesse il rientro dei fuoriusciti – li consegnò a quella tedesca, che li incluse nell’azione di sterminio.19

Novembre è anche il mese nel quale, secondo le ricerche archivistiche sinora compiute, in ambito italiano ebbe inizio una corrispondenza allarmata sull’arrivo di profughi a Priština. Il 25, il Comando del Servizio Informazioni Militare-SIM riferì l’esistenza di un «transito per il Kosovo dei profughi ebrei provenienti dalla Serbia e dalla Romania, che si recano in Albania. […] Fanno generalmente capo a Priština», aggiungendo che essi avrebbero utilizzato permessi di ingresso rilasciati dalle autorità italiane di Belgrado. La lettera proseguiva:

Trattandosi di elementi indesiderabili allontanati da territori occupati dai tedeschi o caduti sotto il rigore della legge razziale romena, si prospetta l’opportunità di limitare i permessi in parola allo scopo di inibire l’ingresso in Albania a elementi sconosciuti che potrebbero svolgere attività a noi contraria.20

Non è noto se l’estensore con «territori occupati dai tedeschi» intendesse riferirsi anche alla regione di Salonicco, oltre che alla Serbia; certamente interessante è la sua concezione dei nazisti «allontanatori» di ebrei e quindi organizzatori del «transito».

Il 30, il Comando militare italiano in Albania comunicò alla Luogotenenza generale del re a Tirana le informazioni raccolte dal proprio ufficio «I»:

Immigrazione ebrei. Durante il mese in corso si è avuto nella zona di Priština l’afflusso di alcune centinaia di ebrei provenienti dall’alta Serbia. Molti di essi muniti di lasciapassare sono stati in un primo tempo accolti dalle famiglie ebree da tempo residenti nel Kossovo; altri sono stati invece respinti oltre la linea di demarcazione verso Podujevo-Kursumlija o Mitrovica. Parecchi si sono diretti in Dalmazia transitando per il Kossovo anziché seguire la via Zagabria-Spalato. A Priština se ne troverebbero per ora oltre seicento. Gli interessati risultano muniti di foglio di via rilasciato dalla R. Legazione d’Italia a Belgrado. È stato notato che: – in molti casi i fogli di via erano senza numero e con firma illeggibile; – le competenti autorità non hanno chiesto il preventivo nulla osta per il rimpatrio delle famiglie.21

Le valutazioni numeriche suscitano non poche perplessità: nessun altro documento dell’epoca le conferma, tanto che è possibile ipotizzare che il dato di Priština comprendesse anche gli ebrei locali. Ma i contenuti maggiormente interessanti sono le annotazioni sull’incompletezza o l’irregolarità dei documenti e le notizie sull’azione di respingimento alla frontiera e sulla «accoglienza» da parte degli ebrei kosovari.

In effetti tutti e tre questi punti trovano conferma nella testimonianza di una fuggiasca, che il 3 novembre 1941 era partita con la madre e la sorella da Belgrado per raggiungere Priština con falsi lasciapassare. Raggiunta la città, furono fermate da una pattuglia (non è chiaro se albanese o italiana) e rimesse sul treno per Belgrado, via Skopje. Tuttavia riuscirono a scendere con l’aiuto del controllore e furono aiutate da un ebreo di Priština che le nascose dapprima in città e poi a Prizren.22

Riguardo ai lasciapassare italiani, ossia alle autorizzazioni a recarsi nei territori balcanici occupati dall’Italia, sembra che ve ne fossero vari tipi: alcuni erano rilasciati secondo le norme, ma era falsa la residenza in Albania o Grecia da essi attestata; in altri casi la stessa procedura di rilascio era fraudolenta; in altri ancora si era in presenza di veri e propri documenti falsi. Il 4 novembre la Guardia volontaria serba segnalò un’organizzazione che, dietro pagamento, procurava a ebrei e comunisti documenti falsi intestati a profughi serbi, grazie ai quali l’ambasciata italiana rilasciava lasciapassare veri per «rientrare» in Bosnia e Dalmazia.23 Su un altro piano, il 24 dicembre l’ambasciata italiana a Belgrado ottenne la liberazione di un dirigente locale delle Assicurazioni Generali e della sua famiglia. Essi e un altro ebreo, per il quale era intervenuta casa Savoia, vennero trasferiti in Italia.24 Di tutte queste vicende, in questa sede interessa soprattutto l’intensificarsi delle segnalazioni, la data del rapporto della polizia serba, il suo accumunare ebrei e comunisti.

L’insieme di questi documenti attesta l’esistenza sia di centri di produzione di documenti più o meno falsificati, sia di una organizzazione di soccorso incardinata sulla comunità ebraica di Priština e con legami fino a Belgrado, che si avvaleva anche del sentimento solidale e dello spirito illegalistico di kosovari non ebrei.

L’improvviso proliferare delle segnalazioni militari e di polizia in novembre echeggiava direttamente l’intensificarsi delle fucilazioni degli uomini ebrei, ovvero la necessità assoluta degli scampati clandestini di abbandonare la Serbia.

Apparentemente ignaro di ciò, il 18 dicembre il Ministero dell’Interno albanese inoltrò alla propria Presidenza del Consiglio dei Ministri la traduzione della lettera del comando militare italiano del 30 novembre, aggiungendo di avere dato ordine di non consentire alcun ulteriore ingresso di ebrei, con o senza valido lasciapassare, tranne che se provvisti di una speciale autorizzazione del ministero.25 Dal 3 dicembre 1941, presidente del Consiglio e ministro dell’Interno era Mustafà Kruja, sempre nominato di fatto da Roma, ma caratterizzato da maggiore senso nazionale albanese rispetto ai governi precedenti.

Il 2 gennaio 1942 il comandante del battaglione dei carabinieri italiani dislocato a Prizren e operante anche a Priština ricevette l’ordine «vengano senz’altro respinti».26 Il 6 chiese al prefetto di eseguire un «censimento degli allogeni e degli autoctoni di nazionalità diversa compresi gli ebrei»27 e il 13 dispose: «Vengano arrestati gli ebrei introdottisi clandestinamente».28

Quello stesso giorno il presidente del Consiglio dei Ministri così riepilogò alla Luogotenenza la situazione:

Un numero considerevole di Israeliti, cittadini serbi o ex jugoslavi, si sono allontanati dalla Serbia muniti di documenti vistati da parte delle autorità consolari italiane in Serbia e così hanno potuto entrare in Prishtina. Si dice che una parte di tutti quei documenti pur non essendo falsificati contengono la fotografia del titolare israelita, il quale in questa occasione ha cambiato nome. Ciò viene fatto perché nessuno si avveda che quelle persone sono di origine israelita. Il Ministero dell’Interno sta facendo inchieste anche per questa questione e l’esito verrà comunicato a codesta R. Luogotenenza Generale. Aggiungo che il Ministero degli Interni ha dato ordine alla Prefettura di Prishtina che da ora in poi nessuno possa entrare in quella circoscrizione senza un permesso speciale rilasciato dal Ministero in parola. […] La Luogotenenza Generale ha pienamente ragione quando dice di prendere una misura per espellere quelle persone che detengono simili documenti e di creare un criterio uniforme per le autorità incaricate della vigilanza. Un criterio simile è necessario a causa della comune responsabilità delle autorità incaricate della vigilanza.29

La lettera concordava sull’espulsione di tutti i clandestini, ma non si riferiva a provvedimenti già adottati. In attesa del reperimento di ulteriori documenti si possono solo formulare delle ipotesi esplicative; ad esempio, forse si continuava a ritenere che gli ebrei serbi fossero «allontanati» dalle stesse autorità tedesche e che perciò esse non ne avrebbero consentito il reingresso.

L’ordine di arresto sembra riguardare i clandestini scoperti dopo il momento dell’ingresso o coloro i cui documenti erano stati riconosciuti come falsi, non quindi i fuggiti da Mitrovica e i trasferiti da Kursumljiska Banja. Si deve presumere lo svolgimento di indagini di polizia, forse collegate al censimento disposto il 6.

Il 19 gennaio Haijm Azer, della comunità di Priština, si rivolse direttamente alla Delegazione per l’Assistenza agli Emigranti (Delasem), istituita dall’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane per occuparsi degli ebrei stranieri in Italia. La lettera informava che

trovansi circa 80 profughi Ebrei – uomini, donne, ragazzi, bambini da parecchie parti – dei quali una buona parte sono arrivati da tanti mesi fa. […] Le autorità locali sono state fin’ora sempre ben disposte in confronto ai profughi, però il cattivo destino d’essi è stato sempre ed è indeciso e sono sempre così indecisi ed inquieti per l’avvenire.

Il messaggio pregava la Delasem «di occuparsi costì [ossia in Italia] presso le autorità vigenti perché la questione di questi profughi venga risolta. Attendiamo con angoscia una favorevole decisione».30 La lettera non menziona gli arresti, ma mostra di temerli, anche perché precisa: «La Comunità Israelitica di Pristhine ha preso tutta la responsabilità morale in quanto concerne la moralità e buon comporto leale cosicché garantisce che nessuno di loro non si occuperà mai delle cose indesiderabili». Riguardo al numero dei profughi, esso è inferiore alla realtà effettiva, ma non sappiamo se concerna o no solo i profughi della città di Priština, se comprenda o no i 45 di Kursumljiska Banja, se per timore della censura postale non menzioni i clandestini. Peraltro la lettera impiegò molto tempo per raggiungere la Delasem, o almeno sappiamo che questa la inoltrò all’Unione delle Comunità solo il 24 marzo, chiedendo di «intraprendere in merito i passi necessari presso le superiori Autorità».31

Dopo circa un mese sopraggiunse un’iniziativa ufficiale delle autorità di occupazione in Serbia e «l’avvenire» iniziò a precipitare. Il 14 febbraio l’ufficiale italiano di collegamento presso il comando tedesco di Belgrado riferì al comando militare italiano in Albania, su richiesta dell’alleato, che:

Comando [militare] tedesco informa: est a sicura conoscenza polizia tedesca Serbia che est attualmente costituito in Priština gruppo circa 200 ebrei fuggiti da Serbia. Detto gruppo disporrebbe ingenti mezzi finanziari con i quali finanzierebbe nuclei comunisti et ribelli in Serbia et anche elementi antitaliani in Albania. Comando tedesco richiede arresto ebrei et estradizione per proseguire indagini et eliminare pericolosa attività gruppo inseguirà [sic] elementi affigliati esistenti in Serbia. Comando tedesco ritiene necessaria maggiore reciproca collaborazione fra elementi polizia tedesca et italiana Albania et Montenegro facenti parte grandi unità at contatto linea demarcazione. Propone scambio elementi polizia collegamento da distaccare stabilmente località prossima linea demarcazione a cui far capo reciprocamente per notizie scopo evitare ritardi specie proseguire indagini spesso interrotte da separazione detta linea. Detta collaborazione est già in atto fra polizia tedesca e bulgara et ungherese. Qualora codesto comando superiore aderisca proposta precisi accordi in merito sarebbero presi fra polizie grandi unità fronteggianti. Comando tedesco attende decisioni. Addetto militare [dell’ambasciata] informato.32

Ora quindi le autorità tedesche (la polizia, ma anche il superiore comando militare) chiedevano ufficialmente il rimpatrio in Serbia di tutti fuggiaschi. Al contempo venivano così a cadere il divieto di reingresso stabilito in maggio, nonché la correlata ipotesi italiana di novembre che gli ebrei fossero oggetto di una politica di allontanamento. Gli accenni ai comunisti e ai ribelli echeggiavano l’informativa della polizia serba di novembre e richiamavano i doveri connessi all’alleanza militare. L’accenno ad attività antiitaliane in Albania era privo di qualsiasi dettaglio e ciò da un lato contrastava con il richiamo alla collaborazione e dall’altro però ne evidenziava la necessità. L’ufficiale italiano aveva veicolato la richiesta tedesca di estradizione totale senza commentarla; era a conoscenza dello sterminio generalizzato degli uomini e delle condizioni di vita e di morte di donne, bambini e anziani a Sajmište?

Il 17 febbraio il comandante militare italiano trasmise a vari destinatari il messaggio precedente, aggiungendo di aver risposto positivamente alla richiesta di collaborazione e di aver incaricato il tenente colonnello dei carabinieri Andrea De Leo di recarsi a Belgrado.33

Forse perché informata dei messaggi precedenti, il 28 febbraio la Presidenza del Consiglio dei Ministri albanese ordinò al comando dei carabinieri: «Tutti gli ebrei che siano entrati in territorio albanese, provenienti dalla Serbia, vengano accompagnati al confine e consegnati alle competenti autorità tedesche di occupazione».34 È la prima volta che nella documentazione qui analizzata compare il termine «consegna» (che è diverso da «espulsione»).

Tuttavia, stando ai documenti noti, non fu questo l’ordine che i carabinieri eseguirono. L’11 marzo De Leo, rientrato da Belgrado a Prizren, scrisse il seguente Promemoria:

Ho raggiunto con le autorità di polizia tedesca a Belgrado un pieno, cordiale accordo di collaborazione e di comprensione reciproca.
Ho diradato, su quanto in appresso dirò, ogni preoccupazione del Ministro d’Italia a Belgrado, che è rimasto pienamente soddisfatto, per le questioni che lo riguardano.
Segnalo la preziosa e aggiungo affettuosa collaborazione del colonnello di S.M. Comm. Fabbri, di collegamento con le truppe tedesche a Belgrado. ACCORDI – Premessa – Le autorità di polizia tedesca rappresentano che sono vivamente preoccupate dell’attività comunista, gravemente accresciutasi in questi ultimi tempi. Dichiarano che il centro di tale attività è loro convinzione si trovi in Serbia, di dove si diramerebbe anche in Albania, a mezzo di emissari forniti di documenti falsi.
Aggiungo che, di recente, hanno catturato due ebrei comunisti, provenienti dall’Albania, con denaro destinato al centro comunista in Serbia, non ancora identificato.
È loro preciso intento di stroncare tale attività, che tiene in effervescenza tutti i Balcani, tanto che temono, da un momento all’altro, che gli stessi cetnici – che combattono contro i comunisti al loro fianco – possano far causa comune con questi ultimi.
Chiedono perciò la nostra collaborazione.
Rispondo, aderendo in pieno.
Si passa, quindi a discussioni di carattere generale sull’attività comunista, su cui non sorgono divergenze fra le parti.
ACCORDI – Primo – Le autorità di polizia tedesca dichiarano di istituire a Mitrovica un nucleo di 6 elementi della Ghestapò (polizia di stato), al comando del dott. Hausting, equiparato al grado di capitano, uno specialista in materia di repressione di attività comunista, proveniente dal fronte russo, ove, affermano, si è molto distinto. Con tale nucleo dicono che provvederanno a costituire, unitamente alla gendarmeria da campo, dei posti di sorveglianza lungo la linea di demarcazione col Kossovo, allo scopo di impedire il transito clandestino di emissari comunisti.
Chiedono, pertanto, la nostra collaborazione per la sorveglianza lungo la linea stessa, pregando che i nostri elementi di polizia di confine prendano e mantengano i necessari contatti con i loro posti di sorveglianza.
Non ho difficoltà ad aderire alla richiesta, e all’uopo si stabilisce un incontro, fra qualche giorno, col dott. Hausting e col capitano Di Lange in Mitrovica, per l’attuazione pratica dell’accordo e per stringere sempre più quei rapporti di cordialità e di collaborazione, che sono stati posti alla base di ogni discussione (1). Evito di far porre – come indicato nel telegramma di richiesta dell’ufficiale di collegamento di Belgrado – un elemento di collegamento della polizia tedesca nel Kossovo; e preciso che, per eventuali comunicazioni urgenti, il Kossovo è unito telefonicamente con Mitrovica.
Secondo – Le autorità di polizia tedesca chiedono:
– che ogni qual volta elementi comunisti od ebrei entrino nel territorio serbo di loro influenza, siano segnalati per essere seguiti, controllati ed eventualmente arrestati;
– che, in caso di arresto in Albania, di qualcuno di detti elementi, specialmente se capo, appartenente al loro territorio, dopo espletate le indagini del caso in Albania, sia loro consegnato pel proseguimento delle indagini stesse in Serbia, qualora alle autorità di polizia in Albania venga a risultare abbia esplicato attività ribelle, anche passata, nel territorio di loro influenza di che trattasi. Aderisco alla richiesta, però in base a TRATTAMENTO DI ASSOLUTA RECIPROCITÀ, che viene in pieno accettato.
Terzo – Le autorità di polizia tedesche chiedono la collaborazione, reciproca, a carattere informativo, nel campo della polizia, quando le informazioni, interessino, vicendevolmente, i territori di rispettiva influenza.
Non ho nulla da obiettare alla particolare richiesta, dato il trattamento di reciprocità, e prometto ogni possibile collaborazione.
Quarto – Le autorità di polizia tedesche chiedono la necessaria collaborazione tra le autorità militari e di polizia fronteggiantisi lungo la linea di demarcazione del Kossovo.
Poiché, in effetti, tale collaborazione non è mai mancata, prometto di interessare, nel senso, le superiori autorità militari.
Quinto – Chiedo che venga autorizzato il rimpatrio in Serbia:
– degli impiegati serbi, rimasti in Albania, che, finora, non hanno potuto raggiungere le loro case in Serbia, per mancanza degli occorrenti documenti;
– delle famiglie degli impiegati serbi rimaste in Albania, che non hanno potuto, ancora, raggiungere i capi famiglia in Serbia, per mancanza dei necessari documenti.
Le autorità di polizia tedesca aderiscono alla richiesta e, a loro volta, domandano in contropartita l’assistenza degli organi di polizia ai tedeschi, che trovandosi in Albania, dovranno essere – come tutti gli altri tedeschi residenti nei Balcani – rimpatriati per ordine del Führer, secondo trattative diplomatiche in corso.
All’uopo viene, quindi, stabilito:
– di compilare un elenco nominativo tanto degli ex impiegati che delle famiglie sopra indicate, con l’indicazione: per i primi della loro qualità e della loro residenza in Serbia; per le seconde dei capi famiglia, con la di costoro qualità e del luogo di loro domicilio.
Appena in possesso di tale elenco, che sarà loro consegnato, mio tramite, le autorità di polizia tedesche, fatti i debiti accertamenti in Serbia sulla veridicità dell’asserto degli interessati, ne richiederanno il concentramento in Mitrovica, di dove, a loro cura saranno rimpatriati;
– di dare tutta la necessaria assistenza ai tedeschi rimpatriandi. E poiché le autorità di polizia tedesche prevedono che il loro rimpatrio verrà effettuato via Pristina-Mitrovica, dovrà essere provveduto ad adeguata loro assistenza, specialmente in Pristina (2).
Fuoriusciti ed ebrei – Per espressa volontà del Ministro d’Italia a Belgrado, Gr.Uff. Mameli, non ho trattato la questione dei noti fuorusciti albanesi, con le autorità di polizia tedesche. Il Ministro ha desiderato che non trattassi la particolare questione, neppure in senso generale, in contropartita della consegna degli ebrei, temendo di pregiudicare, così, le sue trattative con i fratelli KRYEZIU, per una di costoro sottomissione spontanea all’Italia. Si è lo stesso ministro, pertanto riservato di richiedere il mio personale intervento verso le autorità di polizia tedesca, entro 15-20 giorni, per una consegna forzata dei detti fratelli, qualora le trattative politiche ingaggiate fallissero (come temo in quanto ho ragione di credere che KANJ BEY KRYEZIU cerchi solo di guadagnar tempo, in attesa dei futuri avvenimenti che, in Serbia, oggi, si credono decisamente favorevoli alla Russia e all’Inghilterra).
Di conseguenza, per avere buon gioco nelle eventuali trattative per la richiesta di consegna forzata dei KRYEZIU, ho dilazionato, di egual tempo, la consegna del noto gruppo di ebrei – di cui peraltro, era stata data già notizia ufficiale tanto alle autorità di polizia tedesca che alla Legazione Italiana dall’ufficiale di collegamento a Belgrado – accampando motivi di carattere contingente di polizia, pienamente accettati dalle autorità tedesche.
Occorrendo, per derimere possibili dubbi sulla promessa data della consegna degli ebrei – TUTTI PASSATI IN ALBANIA CON DOCUMENTI FALSI – ne effettuerò, nei prossimi giorni, la consegna di un primo gruppo salvo a consegnare i rimanenti, non appena concluse le trattative per i fratelli KRYEZIU. D’altronde, la consegna di questi ultimi è già implicitamente ammessa e accettata per effetto dell’accordo di cui al capo secondo.
Le trattative, DEL TUTTO VERBALI ED AVENTI CARATTERE TEMPORANEO RELATIVAMENTE AL PERDURARE DELL’ATTUALE PERIODO DI TENSIONE COMUNISTA NEI BALCANI, si sono svolte, in uno spirito di assoluta cordialità, tanto che il comandante della polizia tedesca in Serbia, dott. VAJMAN, equiparato al grado di maggiore – con il quale mi incontrerò nuovamente fra otto-dieci giorni a Mitrovica – nel manifestarmi la propria soddisfazione, ha aggiunto che, da parte sua e dei suoi organi, sarà portato, in ogni campo della polizia, uno spirito di leale e di cameratesca collaborazione.
(1) Per mantenere i necessari contatti di collaborazione con gli organi di polizia, è indispensabile mettere a disposizione dell’Arma nel Kossovo cinque o sei militari italiani, anche di altre armi, interpreti della lingua tedesca. (2) Non sarà inopportuno interessare, per l’assistenza ai tedeschi rimpatriandi, anche le autorità politiche e del P. F. Albanese.35

Gani, Hasan e Said Kryeziu erano di una famiglia notabile (bey) di Dakovica/Gjakova. La loro vicenda è tuttora scarsamente conosciuta in Italia; certo è che poco dopo la missione di De Leo furono consegnati dai tedeschi agli italiani, che li rinchiusero a Ventotene. Un loro compagno di internamento ha così ricordato la storia del loro arresto, evidentemente appresa da essi stessi:

Tre albanesi, i tre fratelli Kreiziu [sic], invidiosi dell’onore, s’aggiungono a essi [ovvero a Rossi, Bauer, Terracini, Pertini e gli altri confinati] nel 1942. Questa dei tre albanesi va raccontata. Un loro fratello – un quarto – fu ministro di re Zog quando re Zog era soltanto presidente [del giovane Stato albanese indipendente]. Aveva anche sposato una sua sorella. Ma le ambizioni di re Zog si precisano e il Kreiziu passa all’opposizione. Deve espatriare. La vendetta di Zog lo raggiunge in Boemia. Gli altri tre, per loro conto, se ne vanno in Jugoslavia. Quando la Jugoslavia è invasa, prendono le armi in favore del paese che li ospita. I tedeschi, impadronitisi della Jugoslavia, li mandano in un campo di concentramento. L’Italia fascista li reclama. Capperi, sono suoi sudditi. Un mattino un capitano con trenta carabinieri si presenta loro. Fa un discorsino: al minimo gesto di rivolta, al minimo accenno di fuga, vi passeremo per le armi. Tre fra trenta, ammanettati. Percorrono l’Italia fino a Brindisi, qui carcere. Che cosa li attende? Aspettano qualche mese. Un giorno altri diciotto carabinieri vengono a prelevarli; li conducono a Ventotene.36

Nell’agosto 1943 tutti gli stranieri internati nell’isola vennero trasferiti nel campo di Renicci, in provincia di Arezzo; lì Gani Kryeziu prese la parola nelle manifestazioni antifasciste del 9 settembre.37 Liberatisi pochi giorni dopo, i tre fratelli tornarono a combattere oltre Adriatico.

Nel suo Promemoria l’inviato italiano definiva la consegna degli ebrei una «promessa data». Il tono del suo rapporto suggerisce che ciò corrispondesse alle istruzioni dategli dai superiori prima della partenza, peraltro lo stesso primo ministro albanese aveva appena dato l’ordine di consegnarli. Stando al tono e al contenuto del Promemoria, dobbiamo ritenere o che egli ignorasse totalmente lo sterminio in atto e che nessuno dei suoi interlocutori italiani e tedeschi a Belgrado gliene avesse fatto cenno, o che egli abbia ritenuto non rilevante il destino delle persone consegnande. L’unico aspetto sul quale si riservava un margine di autonomia è l’articolazione tecnica della consegna degli ebrei: «un primo gruppo» subito, «i rimanenti» dopo la consegna volontaria o coatta dei fratelli Kryeziu.

Il 13 marzo De Leo ordinò di «arrestare tutti gli ebrei entrati nel Kosovo dopo lo stato di guerra con Jugoslavia».38 La disposizione appare ripetitiva di quella del 13 gennaio, in realtà apportava delle novità difficili da comprendere sulla base dei documenti sinora reperiti. La sua formulazione potrebbe significare un ampliamento degli arresti a coloro che erano entrati legalmente, compresi coloro i cui documenti falsi erano tuttora ritenuti veri. Comunque sia, la sua applicazione ebbe un certo clamore: in una delle prime storie della persecuzione in Jugoslavia viene registrato che a Priština «il 14 marzo 1942, l’esercito italiano bloccò improvvisamente la città e il campo. I carabinieri separarono un gruppo di ebrei profughi e li portarono nella loro prigione».39

Furono arrestati gli ebrei profughi dalla Serbia, non quelli kosovari di Priština o fuggiti da Mitrovica. Il primo gruppo comprendeva anche i profughi trasferiti da Kursumljiska Banja.40

I prigionieri furono interrogati? Furono avvisati del loro destino? Sappiamo solo che nel diario storico del battaglione dei carabinieri dislocato a Prizren, alle date del 15 e del 17 marzo, il comandante Giorgio Silvestro scrisse: «Ricevo istruzioni dal Ten. Col. De Leo, in ordine alla consegna alle autorità tedesche di un primo contingente di ebrei tenuti a disposizione nel campo di concentramento di Priština» e: «Ho inoltre abboccamenti con ufficiali della Ghestapo ai quali consegno 51 ebrei che vengono in giornata fatti partire per ferrovia fino a Mitroviza per poi proseguire sino a Belgrado».41

La consegna dei 51 ebrei quindi avvenne il 17 marzo; da quella data, non disponiamo più di loro notizie. Sicuramente furono portati nel campo belgradese di Sajmište, come accadde a tutti gli ebrei rastrellati fuori da Belgrado (quelli residenti a Mitrovica vi furono trasferiti in marzo, presumibilmente insieme al gruppo di Priština). Alcuni giorni prima del loro ingresso nel campo era stata presa la decisione di eliminare tutti gli internati ed era arrivato da Berlino un camion modificato per dare la morte con il gas di scarico: «tra il 19 marzo e il 10 maggio 1942, furono uccisi tutti gli internati in Sajmšste e tutti gli ebrei ricoverati all’ospedale ebraico della città».42

Le consegne erano state programmate con questa scansione: un primo gruppo di ebrei profughi ai tedeschi, poi i tre kosovari agli italiani, infine gli altri ebrei ai tedeschi.

Ma la prima consegna dei 51 ebrei non fu mai seguita da quella dei «rimanenti». E ciò anche se – come si è detto – quella dei fratelli Kryeziu ebbe effettivamente luogo, pur se con tempi e modalità ancora ignote. Peraltro la documentazione sinora reperita indica uno svolgimento dei fatti indipendente dalle clausole contenute nell’accordo italo-tedesco.

Due settimane dopo la consegna dei 51, il Ministero dell’Interno albanese decise di intervenire, diramando alle prefetture del Kosovo nuove disposizioni concernenti tutti gli ebrei della regione. Così il 30 marzo ordinò di trasferire a Berat (nell’Albania interna) gli ebrei kosovari e di trattenere in carcere quelli arrivati «dopo la guerra»;43 ma già il primo di aprile scrisse nuovamente, ordinando la sospensione del trasferimento dei primi e l’invio dei secondi in un campo di concentramento anziché in un carcere, «poiché tra essi vi sono donne e bambini», e invitando i prefetti a concordare con le autorità militari e i carabinieri la realizzazione di un unico campo per la regione.44 Quest’ultima indicazione assunse una rilevanza centrale per l’intera vicenda. Il 10 aprile il prefetto di Prizren, capoluogo della regione, rispose: «Col. De Leo comunica che ebrei giunti dopo la guerra saranno consegnati ai tedeschi. Si attende l’autorizzazione della Luogotenenza. Sicché non vale la pena di spendere per un campo di concentramento».45 A questa lettera il Ministero replicò il 16 aprile, richiamando la corrispondenza precedente e concludendo: «Si coglie l’occasione per ricordare che nessun ordine o autorizzazione deve essere preso in considerazione se non ha origine dai vostri organi direttamente superiori».46

Quest’ultima dizione stabiliva la prevalenza indiscutibile degli ordini del Ministero proprio con chiara allusione a quelli dei responsabili italiani dei carabinieri. Sul piano formale, la prossima consegna ai tedeschi non veniva annullata; di fatto veniva allontanata con forza. E va notato che a comportarsi così era un governo installato dall’occupante. L’accenno alla Luogotenenza resta da decifrare; ma esso concerne una «attesa», mentre lo scontro sulla gestione degli ebrei profughi era già in atto. E se il suo svolgimento è ancora parzialmente ignoto, la sua conclusione è che gli ebrei del secondo gruppo non vennero più consegnati, bensì vennero internati nell’Albania interna assieme a parte degli ebrei kosovari.

Cosa accadde nella seconda metà di marzo 1942 tra Priština, Prizren e Tirana? Io ritengo che la chiave esplicativa sia contenuta in una lettera inviata il 9 luglio 1942 dalla Delasem all’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane ed evidentemente basata su notizie dirette dall’Albania:

Il 14 marzo u.s. per ordine superiore tutti i profughi trovantisi nel territorio annesso recentemente all’Albania (Kossovo) sono stati arrestati e messi a disposizione delle Autorità militari. Tre giorni dopo un gruppo di 50 circa, uomini, donne e bambini sono stati consegnati alle truppe d’occupazione germaniche in Serbia. [Gli altri profughi] vivono in continuo orgasmo, perché temono di essere espulsi da un momento all’altro, ciò che sarebbe per loro la fine.47

Già l’8 maggio Vittorio Morpurgo di Spalato, riferendo all’Unione delle Comunità l’inizio delle espulsioni di profughi dalla sua città aveva scritto che per Priština e un’altra località «non si sa cosa sia accaduto di quegli infelici ricoverati, trasportati in destinazione ed a destino ignoti».48

Per altro pare ovvio che gli ebrei profughi per primi sapessero dello sterminio: ogni interruzione improvvisa e definitiva di contatti con parenti o amici, clandestini o internati, era stata oggetto di esami e riesami, sino a quando il loro moltiplicarsi aveva fatto progressivamente comprendere che le interruzioni riguardavano purtroppo proprio le loro vite. Ma anche altri sapevano. Ad esempio in un lungo rapporto inviato il 15 luglio 1942 dal direttore generale di polizia alla Luogotenenza si legge che un ebreo aveva dichiarato di essere entrato in Albania con un lasciapassare con nome falso, «per tema di ricadere nelle mani delle Autorità tedesche di occupazione, nella convinzione che lo avrebbero ucciso perché ebreo».49 Mi pare legittimo ipotizzare che dichiarazioni similari siano state fatte anche dagli ebrei intercettati o arrestati in Kosovo tra novembre e marzo. E considererei pressoché certo che, dopo la consegna del primo gruppo, i rappresentanti degli ebrei di Priština abbiano protestato e i non-ancora-espulsi abbiano mostrato tutta la loro disperazione. Forse qualcuna di queste proteste raggiunse la Luogotenenza, ma non ve ne è traccia nei documenti finora reperiti. Al momento, ritengo più realistico ipotizzare che gli ebrei kosovari abbiano cercato e trovato un canale di comunicazione con le autorità albanesi locali e di Tirana. Certo è che a queste ultime – e in particolare al presidente del Consiglio e ministro dell’Interno Mustafà Kruja – risaliva la responsabilità ultima delle disposizioni di aprile, soprattutto di quella che poneva l’obbedienza gerarchica albanese al di sopra dell’obbedienza al militare italiano.

L’intervento governativo albanese ebbe un inizio alquanto complesso, come mostra la contraddittorietà delle prime due circolari, che potrebbe anche essere stata determinata dalla volontà di agire con urgenza, senza ancora avere ben compreso i termini della questione. Questi aspetti dovranno essere studiati con grande cura. Ma esso ebbe l’esito di sospendere e annullare definitivamente la terza fase del piano di De Leo, ossia l’ulteriore consegna degli ebrei profughi dalla Serbia.

Quanti furono gli ebrei non più consegnati? Il 1° agosto il Ministero dell’Interno riferì al consigliere permanente italiano presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri (che doveva rispondere a una lettera inviatagli dalla Delasem sui profughi viventi «nel continuo terrore di dovere seguire la sorte dei loro sciagurati compagni, con quali conseguenze Vi sarà facile immaginare»)50 che «gli israeliti venuti da Belgrado in seguito allo sfacelo della Jugoslavia» erano 69 a Priština e 27 a Prizren. I profughi raccolti nella prima città erano già stati internati nell’Albania interna, a Kavaja, Shiak, Kruja e Burel; gli altri lo sarebbero stati tra poco «per dar loro la sensazione di una maggiore sicurezza e tranquillità».51 I dati ufficiali governativi contenuti nei documenti attestano quindi 51 ebrei consegnati e 96 non consegnati, per un totale di 147; di essi, 27 erano a Prizren e 120 a Priština. Secondo una testimonianza rilasciata dopo la guerra da due profughe ‘non consegnate’, in quest’ultima città gli arrestati furono 112 (ma la differenza è poco rilevante), compreso un gruppo di ebrei polacchi in fuga da molto tempo.52 L’ultima descrizione collima con il profilo dei 45 trasferiti da Kursumljiska Banja; sicché sembra legittimo ipotizzare che il totale di 147 fosse composto da questi e da 102 ebrei serbi e centroeuropei fuggiti da Belgrado.

Come accennato, il governo albanese decise di internare nell’Albania interna anche gli ebrei kosovari. Al dunque, il provvedimento fu applicato solo a uomini non malati, in totale 89 al 1° agosto 1942.53 La misura aveva carattere persecutorio; una delle motivazioni possibili potrebbe essere quella di punire l’aiuto dato all’arrivo e alla permanenza dei clandestini o comunque di renderne impossibile la prosecuzione.

Dei cinquantuno uccisi, alcuni nomi sono conservati in (A) The Central Database of Shoah Victims’ Names di Yad Vashem (mi ha aiutato Stefan Sametinger, durante il suo Gedenkdienst presso la Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC); lo storico Milovan Pisarri ha individuato e mi ha segnalato un elenco contenuto in (B) Ženi Lebl, Do «Konacnog rešenja». Jevreji u Srbiji, Beograd, Cigoja štampa 2002, p. 240; l’archivista Suela Cuci dell’Archivio Centrale di Stato di Tirana ha individuato e mi ha segnalato alcuni documenti nel (C) fondo documentario Croce Rossa albanese (AQSH, 203/1942/997); l’archivista Branka Dzidic del Museo Storico Ebraico di Belgrado ha ricercato e mi ha segnalato alcune informazioni biografiche conservate nel (D) Museo.

Grazie a queste fonti ho potuto ricostruire il seguente elenco parziale di ebrei rifugiatisi a Priština, arrestati da italiani, consegnati a tedeschi il 17 marzo 1942, uccisi a Belgrado (spero che altri possano aiutarmi a completarlo). Dato l’intrecciarsi di migrazioni (volontarie o coatte), di lingue e di alfabeti, riporto i loro nomi così come sono stati trascritti nelle fonti.

  1. Barta Andrija (marito di 2), di Alexsandar e Kuh Karolina, nato a Pecuh/Pécs (Ungheria) nel 1899 [fonte A].
  2. Finci Frida (moglie di 1), di Leon e Herman Hana, nata a Vares (Jugoslavia) il 6.2.1912 [fonte A].
  3. Barta Judit, di Andrija e Finci Frida, nata a Belgrado (Jugoslavia) il 20.3.1932 [fonte A].
  4. Kozinski Jakov (marito di 5), di David e ? Klara, nato a Kiev (Russia) [fonti A, B].
  5. Medvedowski Nadia (moglie di 4), nata a Odessa (Russia) [fonti A, B].
  6. Kozinski Devik/David, di Jakov e Medvedowski Nadia, nato a Kiev (Russia) nel 1917 o 1919 [fonti A, B].
  7. Altarac Klara (moglie di Kozinski Evgenij/Ženja, figlio di 4 e 5), di Rafail e Azriel Sofija, nata a Paracin (Jugoslavia) il 2.4.1915 [fonti A, B, C, D].
  8. Birnbaum Richard (marito di 9), di David e Grünwald Hermine, nato a Vienna il 3.11.1886 [fonte A].
  9. Ringel Olga (moglie di 8), di Eisig e Korczyn Emilie, nata a Vienna il 21.9.1887 [fonte A].
  10. Pinkas Majer (marito di 11), di Haim e Kilusa Rachel, nato a Belgrado il 17.10.1883 [fonti A, B, D].
  11. Ben Haim Matilda (moglie di 10), di Isak e ? Bulisa, nata a ? il 21.1.1891 [fonti A, B, D].
  12. Grusman/Grussman Arnold, di circa 50 anni [fonti B, C].
    Per le seguenti persone, non vi è certezza che abbiano fatto parte del gruppo consegnato a Priština:
  13. Davico Erika, nata nel 1913 [fonti B, D].
  14. ? Meri (madre di 15) [fonte B].
  15. Farhi Rasela (figlia di 14) [fonte B].

Invece è certo che la famiglia Tajtazak [menzionata in B] non fece parte del gruppo consegnato a Priština, poiché risulta presente a Krue, in Albania, il 7 giugno 1943.54


L’unica descrizione della vicenda pubblicata da un protagonista italiano è quella dell’allora luogotenente generale del re Francesco Jacomoni di San Savino: poco dopo l’inizio del dicembre 1941,

si era recato da lui [da Mustafà Kruja] il console generale di Germania e gli aveva presentato una nota verbale con la quale il governo nazista richiedeva la consegna di oltre trecento ebrei che, profughi dalla Jugoslavia, avevano trovato asilo in Albania. Il comando militare tedesco di Belgrado aveva fornito notizie precise sui loro nomi e sui luoghi ove si erano rifugiati nel Kossovo albanese. Mustafà Kruia venne a chiedermi il permesso di lasciarli indisturbati in Albania. Non vi erano in tutto il paese soldati tedeschi che potessero identificarli. Si convenne tuttavia che i profughi ebrei sarebbero stati subito trasferiti nella regione di Argirocastro che confinava con la zona greca, occupata da truppe italiane. Essi sarebbero stati forniti di un passaporto albanese con falso nome e, ove fosse stato necessario, materialmente assistiti. Queste misure avrebbero permesso a Mustafà Kruja di rispondere, dopo qualche giorno, al console generale di Germania, che tutte le ricerche fatte nel Kossovo in merito ai nominativi indicati erano riuscite vane.55

Riguardo a tutto ciò si può osservare che la richiesta del comando tedesco e l’intervento di Kruja sono attestati dalla documentazione; che l’intervento del console tedesco non risulta attestato nella documentazione da me consultata; che i documenti attestano che i profughi ‘non consegnati’ vennero trasferiti coi loro nomi veri in località dell’Albania centrale; che il silenzio sulla consegna del «primo gruppo» è inaccettabile.

Note:


  1. I documenti dell’Archivio di Jugoslavia, Belgrado (d’ora in poi AJ) sono stati cortesemente individuati e tradotti da Milovan Pisarri, che ha anche tradotto dal serbo-croato alcuni brani di libri. I documenti dell’Arkivi Qëndror i Shtetit, Tirana (Archivio Centrale di Stato; d’ora in poi AQSH) sono stati cortesemente individuati da Suela Cuci e Laura Brazzo e sono stati tradotti da Suela Cuci, Suela Isufi e Caterina Zuccaro. I primi documenti dell’Archivio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (d’ora in poi AUCEI) mi erano stati cortesemente segnalati da Silvia Trani. I primi documenti dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito (d’ora in poi AUSSME) sono stati individuati e resi noti da D. Rodogno, Il nuovo ordine mediterraneo. Le politiche di occupazione dell’Italia fascista in Europa (1940-1943), Torino, Bollati Boringhieri 2003, pp. 459-460. La ricerca archivistica in Albania è stata svolta grazie a contributi 2009 e 2010 dell’Assessorato al Mediterraneo della Regione Puglia alla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea CDEC. ↩︎
  2. AUSSME, L3, b. 185, fasc. 6, Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Appunto, 11 aprile 1960. ↩︎
  3. M. Pisarri, La Shoah in Serbia e Macedonia (1941-1943), in L. Brazzo, M. Sarfatti (a cura di), Gli ebrei in Albania sotto il fascismo. Una storia da ricostruire, Firenze, Giuntina 2010, pp. 170, 173. ↩︎
  4. J. Romano, Jevreji Jugoslavije 1941-1945. Žrtve genocida i ucesnici narodnooslobodilackog rata, Beograd, Savez jsvrejskih opština Jugoslavije 1980, p. 152; P. Dželetovic-Ivanov, Jevreji Kosova i Metohije, Beograd, Panpublik 1988, p. 190. ↩︎
  5. Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., p. 177. ↩︎
  6. AJ, Ministero della Giustizia, fondo 49-47-87, «Verordnungsblatt des Militärsbefehlshabers in Serbien» VII, 31 (maggio 1941), Verordnung betreffend die Jude und Zigeuner, 30 maggio 1941; Archivio Storico-diplomatico del Ministero degli Affari Esteri (d’ora in poi ASMAE), AP 1931-1945, Jugoslavia, b. 123, fasc. 1, Ministero Esteri a Ministero Interno, 15 giugno 1941 (velina dell’inoltro del dispaccio della Legazione di Belgrado del 3 giugno); J. Lebel, Until ‘The Final Solution’. The Jews in Belgrade 1521-1942, Bergenfeld NJ, Avotaynu 2007, pp. 292-295; Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., pp. 173-175. ↩︎
  7. Romano, Jevreji Jugoslavije, cit., p. 153. ↩︎
  8. AQSH, 179/1941/15/26-30, tabella «Popolazione dei territori liberati – 1941» (la segnatura indica nell’ordine: Ministero o Ente / anno / faldone / foglio). ↩︎
  9. Dželetovic-Ivanov, Jevreji Kosova, cit., p. 190; cfr. anche Romano, Jevreji Jugoslavije, cit., p. 152. ↩︎
  10. Romano, Jevreji Jugoslavije, cit., pp. 153, 199. ↩︎
  11. Ivi, pp. 152, 199. ↩︎
  12. AUCEI, Fondo UCII, Attività 1934-1947, b. 45C, fasc. 4, Comunità Israelitica Spalato a Unione Comunità Israelitiche Italiane, 20 agosto 1941, con allegata traduzione italiana di lettera della Comunità Israelitica Priština a Comunità Israelitica Spalato, 11 luglio 1941. ↩︎
  13. M. Sarfatti, La condizione degli ebrei in Albania fra il 1938 e il 1943. Il quadro generale, in Brazzo, Sarfatti (a cura di), Gli ebrei in Albania, cit., pp. 125-151. ↩︎
  14. AQSH, 153/1941/160/64. ↩︎
  15. Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., pp. 182-183. ↩︎
  16. Archivio Centrale dello Stato, Roma (d’ora in poi ACS), Ministero dell’Interno, DGPS, Massime C6, b. 22, fasc. 6, ministro Esteri a Consolato italiano a Skopje e altri destinatari, 27 febbraio 1942; N. Malcolm, Storia del Kosovo. Dalle origini ai giorni nostri, Milano, Bompiani 1999, p. 329. ↩︎
  17. Sugli ebrei albanesi cfr. L. Brazzo, Dall’Impero agli Stati. Gli ebrei nei Balcani e in Albania fra la seconda metà dell’Ottocento e la vigilia della Seconda guerra mondiale, in Brazzo, Sarfatti (a cura di), Gli ebrei in Albania, cit., pp. 13-60; Sarfatti, La condizione degli ebrei, cit., pp. 144-145. ↩︎
  18. R. Hilberg, La distruzione degli ebrei d’Europa, nuova ed., Einaudi, Torino 1999, pp. 705-712; Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., pp. 175-181. ↩︎
  19. Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., p. 183; A. Matkovsky, The destruction of Macedonian Jewry, «Yad Vashem studies» III (1959), p. 222. ↩︎
  20. ACS, Ministero Interno, DGPS, AGR, Massime, A14, b. 15, fasc. 6, Comando Supremo-SIM a Ministero Esteri e Ministero Interno, 25 novembre 1941. ↩︎
  21. AUSSME, Roma, rac. N1/11, b. 969, fasc. Comando Superiore Forze Armate Albania, Diario storico, Bimestre novembre-dicembre 1941, sfasc. Allegati, Comando Superiore Forze Armate Albania a Luogotenenza generale, 30 novembre 1941; cfr. anche ivi, sfasc. Testo, 30 novembre 1941. ↩︎
  22. L. Petrovic, Izbeglice, in Mi smo preziveli… Jevreji o Holokaustu, Beograd, Jevrejski istorijski muzej 1, 2001, p. 251 (ringrazio ancora Milovan Pisarri). ↩︎
  23. Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., pp. 192-193. ↩︎
  24. Lebel, Until ‘The Final Solution’, cit., pp. 336-337; Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., p. 181. ↩︎
  25. AQSH, 149/1938/I-1806/59. ↩︎
  26. AUSSME, N 1-11, b. 823, Comando IV Battaglione CC.RR. Mobilitato, Diario Storico-militare relativo al bimestre gennaio-febbraio 1942-XX, 2 gennaio. ↩︎
  27. Ivi, 6 gennaio. ↩︎
  28. Ivi, 13 gennaio. ↩︎
  29. AQSH, 61/1942/430/1 e 154/1942/430/1-2; copia in AUSSME, N 1-11, b. 493, Comando IV Corpo d’Armata, Diario Storico dicembre 1941 – gennaio 1942, fasc. Allegati, n. 23, allegato a lettera del 18 gennaio 1942. ↩︎
  30. AUCEI, Fondo UCII, Attività 1934-1947, b. 45C, fasc. 4, copia allegata a lettera della Delasem a Unione Comunità Israelitiche Italiane, datata 24 aprile 1942 ma da rettificare in 24 marzo 1942. ↩︎
  31. Ibidem↩︎
  32. AUSSME, N1/11, b. 969, fasc. Comando Superiore Forze Armate Albania, Diario storico, Bimestre gennaio-febbraio 1942, sfasc. Allegati, ufficiale di collegamento presso Comando tedesco di Belgrado tenente colonnello Migliorati a Comando Superiore Forze Armate Albania, 14 febbraio 1942. ↩︎
  33. Ivi, Allegati, comandante Superiore Forze Armate Albania Camillo Mercalli a Comando IV Corpo d’Armata, 17 febbraio 1942. ↩︎
  34. AQSH, 235/1942/35/146; testo trascritto in una lettera del Ministero Interno alle prefetture del 4 marzo. ↩︎
  35. AUSSME, N 1/11, b. 969, fasc. Comando Superiore Forze Armate Albania, Diario storico, Bimestre marzo-aprile 1942, sfasc. Allegati, ten col. Andrea De Leo, Promemoria sugli accordi stabiliti con la polizia tedesca, 11 marzo 1942. Maiuscole nell’originale. ↩︎
  36. A. Jacometti, Ventotene, Milano, Mondadori 1946, p. 55. ↩︎
  37. C. S. Capogreco, Renicci. Un campo di concentramento in riva al Tevere, Cosenza, Fondazione Ferramonti 1998, pp. 57, 88. ↩︎
  38. AUSSME, N 1-11, b. 823, Comando IV Battaglione CC.RR. Mobilitato, Diario Storico-militare relativo al bimestre marzo-aprile 1942-XX, 13 marzo. ↩︎
  39. Z. Löwenthal (a cura di), Zlocini fašistickih okupatora i njihovih pomagaca protiv Jevreja u Jugoslaviji, Beograd, Savez jevrejskih opština FNR Jugoslavije 1952, p. 132. ↩︎
  40. M. Fajt, S. Mevorah, Secànje na Albaniju, «Jevrejski pregled», (gen-feb. 1980), p. 26 (ringrazio ancora Milovan Pisarri). ↩︎
  41. AUSSME, N 1-11, b. 823, Comando IV Battaglione CC.RR. Mobilitato, Diario Storico-militare relativo al bimestre marzo-aprile 1942-XX, 15 marzo, 17 marzo. ↩︎
  42. Pisarri, La Shoah in Serbia, cit., p. 180. ↩︎
  43. AQSH, 152-2/1942/319/13. ↩︎
  44. AQSH, 152-2/1942/319/16. ↩︎
  45. AQSH, 152-2/1942/410/1. ↩︎
  46. AQSH, 152-2/1942/319/9. ↩︎
  47. AUCEI, Fondo UCII, Attività 1934-1947, b. 45C, fasc. 10, Delasem a Unione Comunità Israelitiche Italiane, 9 luglio 1942; pubblicata in S. Sorani, L’assistenza ai profughi ebrei in Italia (1933-1947). Contributo alla storia della Delasem, Roma, Carucci 1983, pp. 273-274. ↩︎
  48. AUCEI, Fondo UCII, Attività 1934-1947, b. 45C, fasc. Delasem 1941-1943, ins. Profughi in Dalmazia, Vittorio Morpurgo a Unione Comunità Israelitiche Italiane, 8 maggio 1942. ↩︎
  49. AQSH, 161/1942/157/16. ↩︎
  50. AQSH, 152-2/1942/319/73-74, copia dattiloscritta, senza data, ma arrivata a Tirana prima del 27 luglio. ↩︎
  51. AQSH, 152-2/1942/319/68-69. ↩︎
  52. Fajt, Mevorah, Secànje na Albaniju, cit. ↩︎
  53. AQSH, 152-2/1942/319/68-69. ↩︎
  54. AQSH, 153/1943/386-3/266. ↩︎
  55. F. Jacomoni di San Savino, La politica dell’Italia in Albania nelle testimonianze del Luogotenente del Re, Bologna, Cappelli 1965, pp. 288-289. ↩︎

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