La mostra BESA, un codice d’onore. Gli albanesi musulmani che salvarono gli ebrei dalla Shoah, con le immagine realizzate dal fotografo ebreo-americano Norman H. Gershman, presentata per la prima volta al pubblico nel novembre del 2007 presso il Museo Yad Vashem a Gerusalemme, viene ora inaugurata il 24 gennaio 2010 presso il Museo Ebraico di Bologna, in occasione del Giorno della Memoria.
Lo scopo di questo evento è di presentare la straordinaria testimonianza del popolo albanese e di rendere omaggio ai suoi valori umani come parte di un esempio etico di tolleranza che è ancora oggi attivo e radicato nelle sue tradizioni e nella sua cultura millenaria. Questo esempio, unico nel suo genere, trova le sue fondamenta in un antico codice di condotta di nome “Besa”, parola traducibile come “giuramento” o “promessa”. La mostra è viaggio della memoria riproposto attraverso i suggestivi scatti in bianco e nero di norman gershman, che per cinque anni ha percorso l’Albania recuperando le testimonianze dello straordinario salvataggio che riguardò quasi duemila ebrei e documentandolo attraverso i ritratti dei salvatori e dei loro discendenti, di singoli e di interi gruppi famigliari.
L’Albania, unico paese europeo a maggioranza musulmana, riuscì così in un’impresa dove le altre nazioni europee fallirono. Le parole di questi salvatori, tutti riconosciuti come Giusti delle Nazioni [Righteous Among the Nations], sono qui oggi – appassionanti come un romanzo – a ricordarci che a fare la differenza della storia non è solo la banalità del male ma anche la quotidianità di un coraggio così certo delle sue ragioni da non chiamarsi mai con questo nome.
Nei primi decenni del Novecento l’Albania, a maggioranza musulmana, contava infatti appena 200 ebrei su una popolazione di 803 mila abitanti. Dopo l’ascesa al potere di Hitler vi cercarono però rifugio da 600 a 800 ebrei dalla Germania, l’Austria, la Serbia, la Jugoslavia e la Grecia che da lì speravano di potersi imbarcare verso Israele o le Americhe. L’Albania fu l’unico paese europeo durante gli anni 1930-1944 che diede ospitalità e protezione ai profughi ebraici fuggiti dalla persecuzione nazi-fascista, mentre nel resto dell’Europa si diffondevano e si applicavano le leggi razziali e le pulizie etniche.
L’Albania li accolse e dopo l’occupazione nazista nel 1943 si rifiutò di consegnare le liste degli ebrei che vivevano nel paese. Varie agenzie governative fornirono a molti ebrei documenti falsi che consentirono loro di mescolarsi al resto della popolazione. E il livello politico si saldò a quello di popolo in un corto circuito che significò la salvezza per migliaia di uomini, donne e bambini. L’antico codice d’onore, Besa, che secondo l’interpretazione degli albanesi scaturisce dalla fede musulmana, si mescolò all’onore nazionale e allo spirito d’umanità. E per tener fede a Besa la popolazione albanese musulmana mise in gioco la sua vita fornendo rifugio, abiti, cibo e un’amicizia sincera che nella stragrande maggioranza dei casi continua ancor oggi e lega persino i discendenti in un fitto scambio di visite e corrispondenza. Il risultato fu che quasi tutti gli ebrei che si trovavano entro i confini dell’Albania durante l’occupazione tedesca furono salvati, fatta eccezione per poche famiglie.
Il Codice d’Onore “Besa”
“La nostra casa è prima la casa di Dio, poi la casa dell’ospite, infine la casa della famiglia. Il Corano ci insegna chetutte le persone – ebrei, cristiani, musulmani – sono sotto un solo Dio”. Queste sono le toccanti parole di Refik Vaseli, i cui genitori sono stati i primi in Albania ad essere onorati dal Museo Yad Vashem di Gerusalemme come Giusti tra le Nazioni. Non sono stati i soli: lo Yad Vashem tra più di 22.000 Giusti tra le Nazioni ha riconosciuto 63 albanesi, che basarono la loro azione sul Besa.
“Besa” è una nobile promessa morale vincolata da scelte basate su un senso alto dell’onore e della giustizia umana. È un concetto che si stabilisce sull’antico codice albanese della virtù che impegna ogni albanese a prestare aiuto a chiunque si trovi in situazioni di necessità a prescindere dal suo status culturale, religioso, etnico, sociale, di età, ecc.
Gli Albanesi erano soprattutto musulmani (65%); il resto della popolazione era cristiana cattolica e ortodossa. Dal punto di vista albanese, per onorare la verità storica è obbligatorio sottolineare che gli ebrei che furono salvati in Albania sono stati protetti e messi in salvo non solo dagli albanesi musulmani ma anche dagli albanesi cristiani e da un numero di albanesi scettici verso la religione. Il concetto stesso di “Besa” non ha molto a che fare con la religione in sé poiché le virtù del coraggio, della compassione, dell’onore, della tolleranza e del sacrificio, che caratterizzano il codice d’onore albanese, in realtà sono all’origine dei valori caratteristici della storia di tutti gli albanesi.
‘Besa’ è radicato nel codice di comportamento albanese detto Kanun, un’insieme di norme che sono state codificate per la prima volta dal principe Leke Dukagjini, intorno alla fine del XV secolo. Dukagjini era un amico e compagno di lotta del grande eroe albanese Gjergi Kastrioti detto ‘Skanderberg’ che combattè fieramente fino al 1468 per difendere l’Albania e l’Europa dall’invasione dei Turchi Ottomani.
“Besa” dunque incorpora dentro sé un iter socio-culturale complesso e arcaico, rispettato e trasmesso oralmente da generazione in generazione: è proprio da questo importante regolatore antico del funzionamento e dell’ordine della società albanese che scaturisce la lunga storia di tolleranza religiosa degli albanesi e la resistenza ad ogni oppressione straniera.
Gli ebrei in Albania
Storicamente, la prima apparizione di un gruppo di ebrei che si insediarono in Albania si data al 70 A.D., quando una nave che trasportava ostaggi ebrei per l’imperatore romano Tito naufragò sulla costa ionica nei pressi di Saranda. Di fatto, piccole comunità ebraiche non omogenee sono state accolte in Albania a partire dal 1492, anno in cui le persecuzioni dell’inquisizione cattolica ordinate dalla regina Isabella di Spagna determinarono la loro espulsione dal continente iberico.
Per quanto riguarda la storia recente a cavallo della seconda guerra mondiale, trovarono rifugio in Albania 2000 ebrei, la maggior parte provenienti da paesi come Germania, Austria, Jugoslavia, Croazia, Bulgaria, Polonia, Turchia, Grecia, Ungheria e Romania. Sebbene il paese si presentava in una situazione economica disastrosa a causa della guerra, e gli albanesi fossero loro stessi sotto l’invasione nazi-fascista, emerse la capacità di provvedere agli ebrei vestiti, cibo, protezione e aiuti di vario genere. In effetti, l’Albania durante quegli anni diventò il luogo di accoglienza prediletto dagli ebrei d’Europa; tuttavia, questa parte della storia d’Albania non è nota a molti, inclusi gli albanesi stessi.
Facendo riferimento a uno studio del professor Bernd J. Fischer, Presidente del Dipartimento di Storia presso l’Indiana University – Fort Wayne: “[…] solo nel 1938 in Albania sono stati ufficialmente registrati circa 300 ebrei albanesi e forse 100 ebrei stranieri. Gli ebrei stranieri (circa 800 secondo la stima del 1943) provenienti da Austria, Germania, ma anche dalla Polonia, Bulgaria e Jugoslavia, venivano nascosti, spesso spostati da un luogo all’altro e sempre protetti dagli albanesi musulmani, ortodossi e cattolici. Non vi è alcun caso noto di qualche tradimento di questa fiducia, nessun caso conosciuto di qualche ebreo esposto, e nessun caso conosciuto di albanesi padroni di casa che chiesero compensi per il servizio offerto […] Ma gli ebrei della Jugoslavia – continua Bernd J. Fischer – furono meno fortunati. Con la distruzione della Jugoslavia nel 1941, molti ebrei dalla Croazia e dalla Serbia cercarono rifugio in Kosova. Mentre inizialmente furono trattati bene, la maggior parte di essi dovette tornare a Belgrado dove molti furono sommariamente giustiziati. […] I tedeschi poi richiesero alle autorità italiane l’arresto e il trasferimento degli ebrei in Kosova sotto il controllo tedesco. Ma le autorità locali albanesi a Prishtina e altrove spesso si opposero a questi sforzi fornendo agli ebrei documenti falsi. Particolarmente attivo in questo senso è stato Preng Uli, il segretario del Comune di Prishtina, il cui operato è stato registrato nei documenti italiani”.
L’ingegnere Samuel Mandili, scrive nel 20 febbraio 1945: “Tutti gli ebrei che provenivano dall’Albania, sono stati salvati grazie alla generosa bontà d’animo del popolo albanese che ha considerato come un dovere morale di proteggere nelle proprie case tutti gli emigrati perseguitati […] L’atteggiamento meraviglioso e nobile del popolo albanese ha bisogno di essere conosciuto perché loro meritano tutta la gratitudine del mondo e di ogni uomo colto […]”
Documenti e testimonianze presso il Museo dell’Olocausto a Washington, dove si trovano elencati i nomi di 2264 ebrei salvati dagli albanesi, attestano questi fatti. Così, nella lista ufficiale presente nel Museo Yad Vashem a Gerusalemme si trovano elencati i nomi di 63 albanesi che salvarono i profughi ebrei prima e durante la seconda guerra mondiale. Inoltre, lo Yad Vashem, dopo aver riconosciuto una trentina di famiglie albanesi (63 persone) nei Giusti tra le Nazioni, il fotografo Norman Gershman dopo cinque anni di costante lavoro, ha raccolte le prove che oltre 150 famiglie hanno protetto gli ebrei durante l’occupazione nazista, e molti altri resoconti che devono essere avvalorati.
Va altresì sottolineato che in Albania non sono mai state approvate leggi antisemite, non sono mai stati costruiti campi di concentramento e non ci sono mai state vittime della Shoah. Una tra le tante testimonianze dell’assenza di sentimenti antisemiti ci viene offerta direttamente dall’ambasciatore degli Stati Uniti in Albania Herman Bernstein, egli stesso un ebreo, che nel 1934 scrisse: “Non vi è alcuna traccia di discriminazione contro gli ebrei in Albania, poiché l’Albania è uno dei rari paesi in Europa oggi dove il pregiudizio razziale e l’odio non esistono, anche se gli albanesi si sono suddivisi in tre fedi…” .
Questi dati significativi ci offrono una chiara panoramica del clima creatosi in Albania durante quegli anni dove ogni ebreo che vi fece ingresso, che ci rimase o che usò il paese per transito venne salvato grazie all’ospitalità del popolo albanese e del suo codice d’onore “Besa”.
Il fotografo Norman H. Gershman
Ha studiato con fotografi come Ansel Adams, Roman Vishniac e Arnold Newman ed è stato influenzato dai loro lavori. È stato anche sotto la tutela di Cornell Capa, il fondatore e direttore dell’International Center of Photography a New York.
Gershman ha sviluppato un suo stile personale incentrato sul ritratto, nel quale lascia il suo tocco enfatizzando la speciale personalità del soggetto. I suoi lavori si trovano presso molte collezioni pubbliche tra cui l’International Center of Photography, New York; il Brooklyn Museum; l’Aspen Museum of Art e molte gallerie in Russia.
Oggi vive e lavora ad Aspen in Colorado.
Gershman per cinque anni ha percorso l’Albania e si è impegnato a fotografare famiglie musulmane che salvarono gli ebrei durante la seconda guerra mondiale, facendo convergere due mondi apparentemente in contrasto.
I suoi intensi ritratti in bianco e nero sono affiancati da brevi interviste che con grande immediatezza testimoniano un movimento capillare di popolo, sorretto da un profondo senso di devozione e di solidarietà umana più che da motivazioni di tipo politico o culturale.
Gersham ha voluto trattare la questione dal punto di vista ebraico, e in questo mondo pieno di conflitti religiosi ha voluto sottolineare il fatto che l’amicizia tra gli ebrei e i musulmani può essere possibile.
“Besa – spiega il fotografo Norman Gershman – è molto più della semplice ospitalità. E’ un sentimento che ti lega a chi entra nella tua sfera contro ogni avversità. Le famiglie musulmane mi ripetevano in continuazione che salvare una vita umana è andare in paradiso. I figli di un salvatore mi dissero che il principio insegnatogli dal padre, secondo cui vivono, è se qualcuno bussa alla tua porta, devi assumerti la responsabilità”.