Lino Sciarra: LA COMUNITÀ EBRAICA ALBANESE

Benché sia collocata geograficamente in Europa, l’Albania è una “nazione all’incrocio tra Est ed Ovest, regione di collegamento tra i Balcani e l’Italia, anello debole tra mondo greco e latino, tra mondo slavo ed islamico. Sin dall’epoca della divisione dell’impero romano in occidentale ed orientale, i confini tra Oriente ed Occidente tagliavano l’Albania; questa divisione è continuata nel Medioevo e, in forza del sistema conservatore dei millet, anche sotto la dominazione ottomana”(1). Con la raggiunta indipendenza del Paese nel 1912, malgrado la parentesi del duro regime comunista, l’Albania non ha perduto questa sua caratteristica di terra di confine in cui l’Oriente si confronta con l’Occidente.
In epoca recente, le travagliate vicende della caduta del comunismo hanno attirato l’attenzione sulla minuscola comunità ebraica presente nel Paese. La sua storia è una storia affascinante sia perché è poco conosciuta, sia perché inevitabilmente legata alla complessa storia del popolo albanese(2).
Alcuni insediamenti ebraici erano presenti nella regione a partire dalla fine dal XII secolo. In seguito, nel XVI secolo migliaia di sefarditi scacciati dalla penisola iberica si rifugiarono nell’Impero Ottomano. Qui, all’infuori del pagamento di un testatico non eccessivamente oneroso, richiesto a tutti i non musulmani, nessun altro tributo era imposto agli ebrei. Inoltre, non solo la loro identità religiosa era ampiamente tollerata, ma essi erano incoraggiati nella loro attività commerciale e potevano accedere a tutte le cariche civili. A quell’epoca l’Albania era ormai sotto il pieno controllo della Porta e diverse comunità catalane, castigliane, portoghesi, siciliane e pugliesi(3) si insediarono nella parte centrale del Paese che costituiva la zona più sviluppata e promettente dal punto di vista commerciale. I porti di Valona(4) e Durazzo insieme alle più importanti città dell’interno, Elbasan e Berat , divennero sedi di consistenti comunità commerciali. Altri ebrei, invece, si stabilirono più a nord, in diverse città dell’attuale Còssovo. Nel 1673 Sabbetai Zevi fu esiliato dal Sultano a Dulcigno (oggi in Montenegro) e qui morì tre anni più tardi(5). All’inizio del XIX secolo gli ebrei albanesi subirono espropriazioni e misure restrittive ordinate da Alì Pascià di Tepelenë, governatore di Giannina, che cercava di rendersi indipendente dalla Porta. A partire da questo momento la comunità ebrea all’interno dei futuri confini dello Stato albanese iniziò a diminuire. Al termine della Prima Guerra Mondiale solo un piccolo numero di ebrei viveva in Albania. Secondo il censimento del 1930 vi erano 204 ebrei in Albania. La Comunità Ebraica fu riconosciuta ufficialmente dallo Stato il 2 aprile 1937(6).
Negli anni in cui iniziavano le persecuzioni antisemiriche, l’Albania – allora sotto la monarchia di re Zog – protesse gli ebrei e li aiutò a fuggire dalla Germania, dall’Austria e da quella che una volta era stata la Cecoslovacchia(7). Nel 1939 alcune famiglie provenienti dall’Austria e dalla Germania si rifugiarono in Albania e si stabilirono a Tirana e a Durazzo.
Anche dopo l’invasione italiana, avvenuta nel corso di quell’anno, le autorità albanesi fecero il possibile per sottrarre gli ebrei ai tedeschi. Dopo la spartizione della Jugoslavia tra Italia e Germania, e l’annessione del Còssovo all’Albania, molti ebrei scapparono dalla Croazia e dalla Serbia e si rifugiarono nel territori albanesi. Questi rifugiati furono trattati bene sia dalla popolazione locale che dagli italiani. Una parte di loro fu inviata in Italia dopo essere passata nel campo di transito di Kavajë, un’altra parte, invece, fu consegnata ai tedeschi e inviata al nord nel campo di Prishtinë. Dopo la resa dell’Italia, nel settembre del 1943, l’Albania cadde in mano alla Germania, ma quasi tutti gli ebrei riuscirono ad evitare di essere catturati. Si calcola che grazie all’aiuto della popolazione albanese circa 350 famiglie ebree furono salvate nonostante l’occupazione tedesca(8).
Alla fine della guerra gli ebrei che si erano rifugiati in Albania vollero indirizzare un messaggio di ringraziamento al nuovo regime comunista. Ma il loro sollievo durò poco. Infatti Enver Hoxha, segretario del partito comunista, una volta consolidato il proprio potere, avviò una crescente repressione nei confronti di tutte le comunità religiose albanesi. Durante il 1967, nell’ambito della rivoluzionarizzazione (la rivoluzione culturale albanese) la lotta antireligiosa toccò il culmine e fu imposta la chiusura di tutti i luoghi di culto, compresa la sinagoga di Tirana. Nonostante tutto, un piccolo gruppo di ebrei, facendo fronte ad enormi difficoltà, continuò a riunirsi segretamente in una casa di Tirana in occasione delle festività(9).
Nel 1990 il regime comunista, che caso unico al mondo era ancora stalinista, iniziò a mostrare chiari segni di cedimento. Sotto la pressione della popolazione urbana e degli studenti e della comunità internazionale che vincolava la concessione degli aiuti necessari alla disastrata economia del Paese all’avvio della democrazia, nel novembre di quell’anno fu concessa la libertà religiosa e la possibilità di espatriare.
In quei giorni ebbe inizio l’operazione denominata “Tappeto Volante” organizzata nel più grande segreto dal governo israeliano e da quello albanese con la collaborazione dei governi italiano e greco(10). Nel corso di quattro mesi, dal novembre all’aprile seguente, l’intera comunità ebraica albanese (la gran parte dei quali viveva nella capitale, pochi altri invece a Valona e a Korçë) ha lasciato l’Albania. La maggioranza, circa 320 persone, è giunta in Israele, mentre una cinquantina hanno preferito scegliere come destinazione finale gli Stati Uniti(11). Alla base della decisione di abbandonare l’Albania non vi sarebbe però l’antisemitismo, ma soprattutto la volontà di sfuggire alla grave crisi economica e sociale che attraversava – e attraversa – il Paese.

Note

(1) R. Morozzo della Rocca, Nazione e religione in Albania (1912-1944), Bologna, 1990, p. 12.Torna
(2) Un’opera sulla storia degli ebrei albanesi è stata scritta da Josheph Jakoel. Cfr. E. Barnavi (a cura di), Histoire universelle des Juifs, Parigi, 1992, p. 213.Torna
(3) A. Milano, Storia degli Ebrei italiani nel Levante, s.l., 1949, pp. 64-66.Torna
(4) E. Benbassa; A. Rodrigue, Juifs des Balkans, Parigi, 1993, p. 69.Torna
(5) E. Barnavi, op. cit., p. 148; E. Benbassa; A. Rodrigue, op. cit., p. 130-131.Torna
(6) Encyclopedia of the Holocaust, New York, 1990, p. 523.Torna
(7) S. Schwartz, “Some Notes on Albanian Jewry”, Albanian Catholic Bulletin (San Francisco), vol. XII, 1991, pp. 112-113.Torna
(8) Alcune testimonianze sono riportate in V. Saraçeni, “Albanians and Hebrews”, Albanian Catholic Bulletin, vol. XIII, 1992, pp.107-110; “The First Albanian to be Recognized as a Savior of Hebrews”, ibid. p. 110.Torna
(9) E.E. Jacques, The Albanians – An Ethnic History from Prehistoric Times to the Present, Londra, 1995, p. 666.Torna
(10) E. Champseix; J.P. Champseix, L’Albanie ou la logique du désespoir, Parigi, 1992, pp. 134-135.Torna
(11) E.E. Jacques, op. cit., p. 666.Torna

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