Da Matteo Tacconi
Si ritiene che l’Albania sia l’unico Paese a non aver consegnato un solo ebreo al nazismo. Lo scorso agosto, a Tirana, ho raccolto alcune testimonianze su questa incredibile vicenda. Ho proposto l’articolo al quotidiano “La Stampa” di Torino, per la Giornata della memoria. L’idea è piaciuta. Eppure l’articolo, scritto e inviato via email, non è mai stato pubblicato. Né ho ricevuto in merito alcuna comunicazione. Lo pubblico qui, nella forma in cui l’ho trasmesso alla redazione esteri de “La Stampa”.
Tirana | Nissim Aladjem. Ebreo, come suggerisce il nome. E profugo. Nel 1943 fuggì dalla Bulgaria. Il governo di Sofia aveva effettuato rastrellamenti in Tracia e Macedonia, occupate grazie all’alleanza con la Germania nazista. Avrebbe invece scelto di non deportare gli ebrei della Bulgaria storica, ma Nissim Aladjem, quando se ne andò, non poteva saperlo. Lo scenario, in quel momento, prometteva guai. Riparò in Albania. Non era certo un posto sicuro, essendo controllato dall’Italia fascista. Ma Roma non vi aveva esteso le leggi razziali. Nel resto dei Balcani invece la caccia agli ebrei era già scattata. Ovunque.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre l’Albania fu invasa dalla Germania. Per i circa duemila ebrei presenti nel Paese – trecento autoctoni, gli altri rifugiati dai Paesi limitrofi – giunse il momento di nascondersi. Nissim Aladjem lo fece a casa di Rifat Hoxha, a Tirana. Incontriamo suo figlio, Rexhep. «Papà – ricorda – fu contattato da un conoscente. Gli chiese se poteva ospitare Nissim, la moglie Sarah e il figlio Aron, di dodici anni. Papà disse di sì. Fu d’accordo anche nonno, che era un imam. Cedette persino la sua stanza a quegli ospiti. Li proteggemmo per quattordici mesi, fintanto che, una volta liberata l’Albania, alla fine del ’44, non emigrarono in Palestina».